Per molti fotografi della mia generazione, cioè ultrasessantenni, Sebastiano Salgado ha rappresentato la sintesi ideale tra il reportage impegnato e la fotografia classica del bianco e nero essenziale dei grandi maestri francesi, Cartier- Bresson, Ronis, Boubat, mix stilistico in perfetto equilibrio del coinvolgimento di fotografi come Peter Magubane, Josef Koudelka e la pazza-lucida visione di William Klein e Martine Frank, tutti nomi che i “fotografi” di oggi a malapena conoscono o ignorano del tutto. Per questo Sebastiano Salgado è uno tra i miei “maestri
della fotografia” preferiti , pur se i riconoscimenti ufficiali sono arrivati solo in questi ultimi anni e questo film, da oggi in molte sale italiane, ne consacra solo in parte il valore assoluto. Il Film dal titolo “Il sale della terra”, è in effetti poco più che un documentario nato dalla collaborazione fra il regista tedesco Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, figlio del fotografo e di Léila Wanick Salgado.
Sebastião Ribeiro Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, città dello stato di Minas Gerais, in Brasile. Negli anni tra il 1964-1967 dopo aver frequentato l’Università in Scienze Economiche a São Paulo ed aver seguito dei corsi alla Suola nazionale di Statistica e Amministrazione Economica a Parigi, lo troviamo impiegato come economista al Ministero delle Finanze di São Paulo e poi a Londra nel 1971 dove svolge mansioni presso l’ Organizzazione Mondiale del Caffé sino al 1973. In quest’anno decide di cambiare totalmente mestiere e diventa fotografo freelance seguendo eventi e guerre in giro per il mondo, nel 1975 entra a far parte della famosa agenzia fotografica Gamma che lascia nel 1979 poiché diverrà membro nella stessa data della cooperativa internazionale Magnum, la stessa fondata da Robert Capa.
Per anni Salgado ha fotografato con estrema sensibilità i dolori del mondo, la morte, le guerre, la fame, le migrazioni di popoli, le povertà e miserie dell’uomo nei 5 continenti. Dalla Sierra Pelada, in America latina, miniera a cielo aperto brulicante di umanità degradata, alle guerre in Iugoslavia in Africa, agli esodi biblici in Etiopia, nel Mali, nel Sahel assetato e affamato, ovunque ci fossero dei diseredati della Terra, ovunque ci fossero dei dimenticati dai media da raccontare, magari solo attraverso mostre e libri, come “Exodus” ; visto che ormai anche l’opera di sensibilizzazione delle coscienze attraverso i reportages e le immagini dure e scioccanti andava perdendo completamente di significato nell’indifferenza generale. E dopo il suo ultimo viaggio nella immane tragedia tribale del Rwanda ecco la crisi dell’uomo Salgado, la disperazione e la depressione che lo spinsero quasi ad abbandonare la fotografia e gli fecero dire degli uomini: “ siamo degli animali feroci, noi esseri umani siamo bestie terribili”
Poi il nuovo impegno a favore dell’ecologia in Brasile con il progetto “Instituto Terra” con l’attenzione del fotografo nuovamente rivolta questa volta alla Terra come ancora la si può trovare intatta e selvaggia senza gli stravolgimenti e le alterazioni prodotte dall’uomo. La Natura con i suoi paesaggi selvaggi ed immani, con i suoi animali ma anche e soprattutto con ancora l’Uomo, “il sale della Terra” che in questa Natura vive come se il tempo si fosse fermato qualche millennio fa, ha in parte rimarginato le ferite dell’anima di Salgado che trova la forza per iniziare un grande progetto per un libro dal titolo “Genesis” che ne vuole raccontare la bellezza eterna. In questa sua immane fatica iniziata nel 2004 lo accompagna questa volta suo figlio Juliano Ribeiro Salgado, e da qui prende spunto il film.
In queste come nelle altre sue fotografie Salgado ci restituisce sempre una visione pulita, coinvolgente, gli animali sono ritratti come le persone, hanno sempre uno sguardo diretto in camera che racconta non solo di loro ma anche del fotografo che in quel momento li riprende. L’abitudine ad immergersi nelle diverse realtà, vivendo per mesi assieme ai suoi soggetti tanto da divenirne esso stesso parte integrante, consente a Salgado di ottenere sempre dai suoi ritratti una consapevolezza assoluta. Non sono mai scatti rubati ma pienamente vissuti dal soggetto assieme al fotografo; una simbiotica complicità che non può che non trasparire ad ogni scatto. Ed anche quando lo sguardo del soggetto è spento e morto, come nel caso di questa rifugiata del Mali, cieca per una grave infezione agli occhi non curata, si avverte tutta la partecipazione emotiva e la consapevolezza più totale per una immagine tra le più belle e coinvolgenti.
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CAST TECNICO:
Regia: Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado;
Sceneggiatura: Juliano Ribeiro Salgado, WIm Wenders, David Rosier;
Fotografia: Hugo Barbier, Juliano Ribeiro Salgado;
Suono: Régis Muller;
Montaggio: Maxine Goedicke, Rob Myers;
Musiche: Laurent Petitgand;
Produttore delegato: David Rosier;
Produttore esecutivo: Wim Wenders;
Coproduzione: Amazonas Images, Solares Fondazione delle Arti;
Direttore di produzione: David Rosier;
Coproduttori: Léila Wanick, Andrea Gambetta
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